La Montagna che cambia



Mi era rimasta qui, sul gozzo, quella cima che svetta maestosa sulle incredibili diversità paesaggistiche, culturali, enogastronomiche di Sicilia.
Bellezza tra le bellezze, l'Etna è un monte vero, severo, con la M maiuscola, "La Muntagna" come dicono non a caso i siciliani. Nero, aspro, alto ben 3.340 m s.l.m., non poggia come le Dolomiti sul verde degli abeti, ma sul blu del Mediterraneo.
Una ciliegina sulla torta, ecco, che il Padreterno ha voluto mettere su questa terra già così ricca e meravigliosa.

Mi era rimasta sul gozzo perchè la prima volta che calpestai la sua ghiaia lavica mi avvicinai appena al cono sommitale del Vulcano, lo contemplai soltanto da lontano.
Ci voleva troppo tempo a salire lassù, e troppi soldi, per via dell'obbligo di affidarsi a una Guida alpina...
Così qualche anno dopo, appena l'occasione (il matrimonio di due carissimi amici, Vale e Salvo) si è fatta viva, la salita al cratere sommitale dell'Etna è stata una vera e propria volontà viscerale.


Paghiamo, ci dotiamo di caschetto, attendiamo che il gruppo sia al completo e poi partiamo, prima in funivia e successivamente con enormi camion con ruote da cava, che sembrano usciti da un film post-nucleare. Sul bestione di ferro e lamiera troviamo alcuni italiani, lui in Espadrillas, cappello di paglia e canotta, lei con le All Stars, lungo vestito "moda mare" e occhialoni da mosca. Inglesi e tedeschi sono invece in abbigliamento da montagna così, per sentirci più a nostro agio, ci fingiamo anglosassoni e saltiamo nel gruppo in cui la Guida parlerà inglese.


La Guida ci scopre subito, ma lascia correre, anzi, ci intendiamo da subito. Ci dice: "Ma perchè dalle Alpi siete scesi qui? è tutto nero, triste, monotono, fumoso...". Ovviamente scherza, ma non è facile intuirlo da subito. E' serio, se non fosse per il suo labbro appena rialzato che svela un sorriso beffardo e ci fa capire come questa sia Montagna da amare, come tutte le altre.
Il deserto nero, il paesaggio lunare, l'assenza del benchè minomo filo d'erba proiettano il viaggiatore in un mondo altro, distante, lontanissimo tanto dalla quotidianità quanto dalle fughe in mezzo alla natura. Il vulcano è apnea, assenza di punti di riferimento e collegamento al nostro "mondo" e proprio per questo ricchezza di spunti di riflessione sulla nostra vera natura.



Con la Guida chiacchieriamo (tra una spiegazione e l'altra in inglese ai nostri compagni di salita), di ciò che abbiamo appena attraversato, prima di immergerci in questo deserto nero ricco di suggestioni.
Funivia, camion, grezze stradone aperte da escavatori lasciati qua e là: qualcosa strideva decisamente con l'immensità del selvaggio ambiente circostante. Sopratutto quei camion, tanto grossi, ingombranti e rumorosi quanto inutili: servono per fare poco più di 300 metri di dislivello, una barzelletta per qualunque escursionista mediamente allenato e una maledizione di fitta polvere per chi usa quelle strade con le mountain bike o a piedi.
Capiamo subito che l'argomento è caldo. Qui, come in tante parti di questo meraviglioso Pianeta, è spesso il potere di pochi a far da padrone, il business a generare mostri. L'Etna, come tante altre bellezze e opportunià del nostro territorio, è un bel frutto succoso da spolpare. "Dovremmo esportare il modello sloveno" ci dice la Guida, "infrastrutture ricettive diffuse tra case e fattorie e non albergoni, sentieri in cui far fatica, ognuno col suo passo e col tempo necessario, e non camion e stradone, funivie solo dove davvero servono". Quando ci dice che anche l'obbligo della Guida è un'imposizione a cui le guide stesse si sono opposte capiamo di essere davvero nel paese dei paradossi, così torniamo a concentrarci sul nostro bel deserto nero: 450 metri di dislivello, un po' di fiatone e siamo in cima, tra i vapori sulfurei che graffiano il respiro.




3.340 m s.l.m. Il cielo sparisce, cala un bianco sipario sul panorama. Il tempo è poco ma quanto basta per sentirsi al tempo stesso in alto, ma vicini al ventre ardente della Terra. Il cratere, occluso da una recente eruzione, appare come un'immenso altopiano inospitale ma affascinate. Le immagini che l'uomo ha interpretato dell'inferno, penso, devono essere state tratte da luoghi come questo. La Terra è viva, sbuffa e ribolle, lo si sente. Come le passioni più profonde e carnali dell'uomo, il magma, sangue del pianeta, spinge dal di dentro verso l'esterno, vuole uno sfogo di libertà, per sentirsi poi vuoto, inutile e senza un pensiero, come dopo un orgasmo. Eccola qui, la quiete apparente, il riposo di una passione che presto si impossesserà di nuovo della Montagna e genererà nuovi fiumi, nuove valli, nuovi coni neri a costellare il paesaggio.


Sembra a tratti di saltellare su una nuvola in continua formazione, ma il tempo chiama. La discesa è rapida e divertente come una sciata, gli scarponi si riempiono di cenere saltellando di tallone nella ghiaia fine e porosa del versante.



Una cosa, tra le tante, mi ha davvero colpito nell'osservazione di questo spettacolo della natura. La Guida ci ha fatto notare come ad ogni eruzione, quindi quasi ogni anno, la Montagna cambia, si trasforma, muta sensibilmente i suoi lineamenti, mangiandosi cime e sentieri, rigurgitando nuove colate, nuove vallecole e nuovi crateri. Anche per loro, che ripetono centinaia di volte questo sentiero, è sempre una sorpresa ritrovare l'Etna diverso da come l'avevano lasciato.
"Ma perchè dalle Alpi siete scesi qui!" ci aveva preso in giro, "è tutto nero, triste, monotono..."

Monotono? Ecco il segreto, nascosto tra il sarcasmo di quella battuta. La monotonia è solo superficiale, solo per chi vede le cose in fretta o da troppo lontano. La bellezza di un vulcano, oltre alla potenza dei suoi show pirotecnici, sta tutta nel continuo cambiamento delle sue forme, nella scoperta che sotto a questo deserto apparente si cela in realtà una vita frenetica, così simile alla nostra.
Il cuore della terra, così ben collegato alla crosta proprio qui, sotto ai nostri piedi, ci suggerisce che tutto cambia, tutto deve cambiare, continuamente, inesorabilmente.
All'osservazione emozionante delle forme "eterne" di guglie, campanili, cenge che tanto hanno appassionato gli alpinisti di ogni epoca, occorre qui sostituire la gioia di contemplare ciò che è destinato a mutare velocemente, anno dopo anno. 









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