"La letteratura e la poesia non
sono mai riuscite a rappresentare adeguatamente quest'orrore; anche le pagine
più alte sbiadiscono dinanzi al nudo documento di questa realtà, che sovrasta
ogni immaginazione. Nessuno scrittore, neanche grandissimo, può gareggiare a
tavolino con la testimonianza, con la trascrizione fedele e materiale dei fatti
accaduti fra le baracche e le camere a gas. Soltanto chi è stato a Mauthausen o
ad Auschwitz può cercare di raccontare quell'orrore radicale"
Claudio Magris - Danubio
Ad indicarmi la strada per il lager fu un anziano signore barbuto, dal
ventre prominente, con un buon sorriso e un cane al guinzaglio. Le
uniche due anime vive che incrociai, in bicicletta, nel borgo di
Mauthausen, in una giornata di fitta pioggia d'agosto.
L'uomo mi suggerì la strada più breve: una salita incredibilmente ripida, in mezzo a boschetti silenziosi, su per una viuzza trasformata dal diluvio in ruscello di fango.
Mi trovai così, ansimante, appena sbucato dal bosco, davanti all'ingresso di quello che fu un campo di sterminio.
Un freddo da morire, io bagnato fradicio. Ma un improvviso peso mi schiacciò e impedì ogni lamento con me stesso: come avrei potuto, là di fronte, lagnarmi di una stupida mancanza di confort?
Così entrai e camminai all'interno del lager, sotto la pioggia battente, con passo lento, da processione. Non c'era in me la curiosità di capire come, cosa, dove. Ma la ricerca del segnale, della vibrazione, del suono, del lamento di un luogo come quello. La ricerca di un contatto, con le voci perdute di centodiecimila anime.
Ma non sentii voci, non provai commozione. Tutto in me rimase estremamente sordo, arido.
Mentre nebbia e pioggia inzuppavano pietre, cippi commemorativi, lapidi e fili spinati, mentre l'umidità stagnante gonfiava il legno dei vecchi dormitori, delle prigioni, della camera a gas, il mio cuore si strinse, freddo, duro, sporco e spigoloso, una pietra.
Lo stesso sopravvivere asettico, meccanico, senza domande nè sentimenti, di chi qui materialmente portò avanti lo sterminio?
Fuori dal lager la nebbia nascondeva appena il panorama di una tranquilla, bucolica campagna danubiana come tante, sprofondata precocemente nell'autunno.
Dentro di me il sangue tornò a scorrere, ma per diversi chilometri regnò unicamente il silenzio, interrotto solo dal leggero, costante ronzio degli pneumatici sull'asfalto.
Un silenzio profondo, poi nausea, fibre contorte nello stomaco e, ormai già lontano, finalmente la rabbia, finalmente il dolore.
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