E' una storia di pregiudizio, il mio. Quando viaggio verso luoghi come questi, dove miriadi di pallottole e granate sono ancora conficcate nei muri e nella terra, nonostante mi sforzi in tutti i modi, mi è difficile non cadere nella trappola dell'immaginazione.
Immaginavo di trovare ragazzi tristi, nervosi, bui, bambini malinconici e soli... e chissà poi perchè.
In queste terre, ho capito poi, che se rimane qualcosa di quell'odio assurdo fatto nascere e coltivato unicamente dai piani alti dei palazzi governativi e non nelle strade, rimane negli adulti, in quelli che spesso hanno posti di potere e che utilizzano questo odio per interesse.
Quegli adulti che ancora mantengono alta la tensione nelle cose quotidiane, che ti costringono a cambiare locomotore ogni volta che il treno passa un confine, che obbligano a mille inutili controlli di documenti, che chiamano "eroe" i generali condannati per crimini contro l'umanità e non permettono in certe zone di posare una lapide per chi è stato ucciso brutalmente.
Non quelli delle città e delle campagne povere, stanchi di guerre, che ne hanno visto fin troppo di odio, ma gli adulti potenti. Che hanno difeso e nascosto macellai come Mladic e che ancora lavorano forzando l'ingranaggio della propaganda.
Ma anche questi sono sempre meno e sempre meno al potere e, mi auguro, faranno sempre meno male. Ormai tutti i criminali di guerra sono stati consegnati alla giustizia e questi Paesi si apprestano oggi ad entrare in Europa. Non possono farlo tanto per fare, devono farlo a testa alta perchè i loro cittadini se lo meritano.
E poi ci sono questi ragazzi, questi bambini. Che hanno la possibilità di essere la prima generazione dopo tante a non dover combattere, con una prospettiva di vita diversa, di pace.
Queste nuove generazioni uguali identiche a noi. Questo mi ha colpito!
Che fanno i graffiti sui muri e si divertono ai concerti, che giocano a tennis tra i palazzoni in stile socialista e che si cercano la fidanzata dove i loro padri scappavano dalle pallottole. Questi bambini per cui le armi sono un gioco che non evoca fantasmi e la propria città è una bella città dove passeggiare liberamente con la familgia. Queste ragazze nelle moschee, con velo e All Star, che pregano in laggings e jeans.
Tutti, come i bambini che giocano a calcio tra i vicoli ricostruiti di Dubrovnik, possono segnare il gol della loro vita... ma per farlo devono ricevere la palla la da chi, tra i loro genitori, nonni, maestri, campioni sportivi, artisti, politici, decida davvero di chiudere con il passato, e voltare pagina.
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Belgrado. Due ragazzi cercano la loro intimità, sotto di loro l'incontro stupendo tra Sava e Danubio, davanti a loro, i grigi e tetri palazzoni in stile socialista
Tra Belgrado e Sarajevo. In attesa dell'ennesimo cambio di locomotore al confine tra Stati
Sarajevo. Ragazze di fronte ad una moschea nella Bascarsija
Sarajevo. Preghiera in una moschea nella Bascarsija
Sarajevo. Una famiglia passeggia verso il centro della città.
Alla loro destra le lapidi bianche dei morti durante l'assedio.
Sarajevo. Ragazze di fronte ad una moschea nella Bascarsija
Sarajevo. Preghiera in una moschea nella Bascarsija
Sarajevo. Una famiglia passeggia verso il centro della città.
Alla loro destra le lapidi bianche dei morti durante l'assedio.
Mostar. Un ponte abbattuto, un minareto, un improvvisato campo da basket e i ragazzi a prendere il sole sulla riva della Neretva
Mostar. Sul vecchio ponte cinquecentesco patrimonio dell'UNESCO, distrutto durante la guerra e ricostruito pietra per pietra, defluita l'onda di turisti, i ragazzi si incontrano.
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