Nel laboratorio di Juliet



Luigi: “Alma, tu sei il mio fixer! Quest’anno a Sarajevo devi trovarmi una bella storia raccontare”

Alma: “Perché dovresti cercare altre storie… conosci Juliet!”

…Una lavanderia self service che è anche bar e caffè… e che nei suoi 15 metri quadrati si trasforma pure in un laboratorio per la lavorazione del rame e la creazione di gioielli e opere d’arte… Già, una bella e curiosa storia che merita di essere raccontata!



Juliet l’abbiamo conosciuta in una situazione davvero strana, a Belgrado, in un ostello tranquillo e colorato, oasi di bellezza in mezzo a grigi palazzoni, mentre fuori volavano pietre per le strade. Già, perché la sorte ha voluto farci piombare nella capitale serba nei giorni della cattura di Ratko Mladić, uno degli ultimi criminali di guerra ancora latitanti, il boia di Srebrenica, l’aguzzino dell’assedio di Sarajevo.

Un gruppo di ultranazionalisti serbi quella sera di primavera protestò di fronte al palazzo del governo, a due passi dall’ostello, inneggiando al noto militare. La contestazione si trasformò presto in qualche ora di guerriglia tra manifestanti e polizia.



“E’ sicuro uscire? Non mi sembra una gran bella situazione”, chiesi ad una ragazza che mi parve una turista, nel suo corpo minuto e nei lineamenti di certo non balcanici.

“Ma certo! Andate tranquilli… sono solo pochi disgraziati esagitati, un gruppetto di fanatici” fu la risposta perentoria.

La sua estrema sicurezza da un lato ci diede coraggio, dall’altro ci fece riflettere: come poteva una viaggiatrice essere così sicura, così dentro la situazione, da consigliare ad uno sconosciuto di uscire per strada con quel clima?

Fatto sta che tutto andò bene. Schivando qualche sampietrino ci infilammo in una via piena di ristorantini niente male dove gustammo un’ottima cena (ricordo ancora oggi quei peperoni ripieni) su di un tavolino all’aperto: la città pareva vivere un’altra storia, era palese il distacco totale della gente comune da quel gruppo effettivamente non molto nutrito di ultras della violenza.



Tornammo all’ostello e la ritrovammo, Juliet, con il suo solito sorriso caloroso, come a dire: “visto, ve l’avevo detto che tutto sarebbe filato liscio!”.

Scoprimmo chiacchierando che anche lei e Calum, suo compagno di viaggio, il giorno successivo avrebbero dovuto prendere come noi il treno per Sarajevo. Il “Treno della Pace”, lungo la linea ferroviaria che fu quella del fronte, riaperta da pochi mesi.

Ci trovammo da subito in sintonia mentre ci avviammo insieme a piedi verso la stazione, lungo quel viale dove ancora i buchi delle bombe NATO nei palazzi governativi feriscono lo sguardo. Noi rimanemmo increduli e colpiti, mentre Juliet osservò quelle nere gallerie come un triste dejà vu. Qualcosa davvero era strano in quella ragazza dall’inglese perfetto, che tutto sembrava fuorché un’abitante del luogo, se non nei passi, nei gesti, negli sguardi…



Fu il viaggio tragicomico di oltre 13 ore nella stessa carrozza deserta ad aprire le porte della nostra amicizia. Juliet, mentre il treno a passo di calesse attraversava stanco montagne e fiumi di partigiana memoria, si mise a raccontare la sua storia, fermandosi di tanto in tanto per una fugace foto dal finestrino.

Inglese di origine, trasferitasi in Australia con la famiglia, ha studiato arte e ha visitato per caso, durante un viaggio, la città di Sarajevo, “Gerusalemme d’Europa”.
Fu amore a prima vista, un sentimento delicato e passionale per la città e la Bosnia intera: la lingua, il cibo, gli abitanti, gli scorci, la storia e poi l’arte antica di lavorare il rame, suo materiale d’elezione, la rapirono.
Poche settimane per pensarci e una decisione irrevocabile, riferita alla famiglia e al fidanzato: “Mi trasferisco a Sarajevo. Voglio costruirmi una vita in quella città. Imparare la lingua, inventarmi un lavoro, mettere radici”.



Dopo aver divorato il racconto di Juliet ci concedemmo tutti e quattro una boccata di ossigeno dal finestrino della carrozza arrugginita, per respirare un po’ di aria Jugoslava e per aprirci gli occhi al paesaggio desolato e stupendo della Bosnia contadina.

Tornati sui logori sedili di finta pelle chiesi a Juliet come fosse possibile (non conoscevo ancora Sarajevo) rimanere così stregati da una città, pur bella, antica e profonda che fosse. Non avevo mai sentito nulla di simile. Ok dalla Pianura Padana decidere di vivere a Londra, Parigi o Madrid… ma ben diverso è decidere di venire a vivere dal giorno alla notte in Bosnia…

Mi rispose così: “Non c’è una spiegazione. Ognuno nella vita sceglie prima o poi di dire ‘questa è la mia città’. A me è capitato a Sarajevo. Può essere una scelta irrazionale? Cero che sì! Ma ho seguito un istinto, ho fatto le valige, sono partita e ora ho tanti progetti in cantiere, tutti da sviluppare”.


Da quel mitico viaggio Belgrado-Sarajevo siamo in costante contatto con Juliet, il nostro “Virgilio” che ci ha fatto conoscere luoghi e persone di quella città oggi anche un po’ nostra. In tre anni siamo tornati più volte e abbiamo condiviso amicizie, divani, feste, musica, camminate, regali, immagini, parole e riflessioni sulla Bosnia di oggi. Un’amicizia a cui teniamo tantissimo.

Posso dire con orgoglio di avergli anche dato una piccolissima mano, usando la mia macchina come furgone, nell’aiutarla a mettere le basi del suo sogno: quello di aprire “Laundro Lounge”, una lavanderia self-service (forse la prima in centro città) che è al tempo stesso un luogo d’incontro, bar e caffè, ma anche un laboratorio di fusione e di lavorazione del rame per sviluppare le sue creazioni, “Monster and lizard”, che coniugano antichi simboli tradizionali locali di animali con tecniche moderne di altri continenti.

Strano vero? Ma Juliet è così e Sarajevo è come lei (o forse è il contrario, ma poco importa!).

Non mischia ma unisce. Non fonde ma abbina. Amalgama senza appiattire i gusti di ognuno degli ingredienti. Una bella follia possibile.



Ringrazio Giulia Sgherri per questo editing, bravissima come sempre a dare un senso di narrazione e coinvolgimento alle mie immagini


1 commenti:

  1. Я поражена рассказом! Человеку нужно очень мало, что бы творить!:)

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