Da zero a millediciannove


Abbiamo due giorni, anzi, un giorno e mezzo, e un po' di voglia accumulata di scappare via.
Abbiamo il bisogno di un po' di silenzio e del fiatone su una piccola cima da conquistare.
Abbiamo la necessità, dico io, di vedere qualcosa di diverso, per sporcarci lo sguardo e quindi, poi, ripulirlo di conseguenza.


L'ideale? beh, sarebbe un'isola, in una stagione insolita.
Un'isola che abbia i piedi a mollo, come tutte le isole, ma una schiena curva di boschi, con la gobba di roccia.


Un'isola di pescatori e montanari, di gente da spiaggia ed eremiti.
Allora la risposta è li, neanche troppo distante.
C'è un traghetto mezzo vuoto che parte, un affittacamere carino con giusto una stanza libera, un ristorante di pesce appena aperto che inizia la stagione così, con la flemma di chi osserva il mare sapendo che per mesi avrà poco tempo da dedicargli.


Isola d'Elba, non s'era capito? E' questa la meta.
Marciana Marina, Marciana senza marina (e quindi montana), Monte Capanne.
Da zero a millediciannove (metri sul livello del mare), toccata e fuga, quasi un sogno da pisolino pomeridiano, ma di quelli che non ti scordi.




Quota zero.

Sulla spiaggia tutto è chiuso ma pulito, in attesa. Un pescatore solitario ci mostra come si fa a richiamare i gabbiani nel porto, gettando qua e là dalla sua barca le interiora dei pesci. Qualche rara famiglia si gode i sassi tondi della baia, mentre un tedesco in ciabatte sonnecchia sul pontile.

Si sale un po' e nel paese tutto fatto a scale qualche voce, sottile sottile, esce dai vicoli.
Una nonna, un ragazzino, due bambine e il barbiere sulla soglia del negozio, con a fianco il suo destriero. 
Luce debole e velata, primavera ancora acerba, fuori i vasi! arriva il sole.




Incrociamo ad ogni svolta i soliti due inglesi, lei euforica, lui più timido.
Ogni volta ci salutano, sembran finti, forse lo sono.
Poi le urla, qualche botto, un pallone, la cantina a far da porta e la piazza è occupata.




Sali, sali, le tue gambe e il tuo fiatone, il mare luccica giù in basso e il cielo è li che sfida i tetti.
Sali, sali ed entra dentro, tra un castagno e quattro sassi, già si sente aria di monte.



A metà della montagna si conosce San Cerbone e si sente poi nell'aria la presenza dell'Imperatore, che qui passeggiò prima di noi. 
Sulle falde del Capanne Napoleone visse il suo esilio, tra la passione di un'amante polacca e, nelle vene, la voglia di rivincita.
Elba lo vide partire, per tornare in quel mondo che lo consacrerà poi perdente, esiliato, morente.
Bonaparte lo rimpianse, questo puntino nel Mediterraneo, in quell'altro puntino, Sant'Elena, disperso nell'Atlantico.




Sali, sali, e vieni avvolto da quel blu che mare e cielo, duellanti, si contendono.
Son pietraie fino in cima e gabbie gialle appese a un filo, sopra alla testa.
Due turisti genovesi impauriti maledicono il Dio della montagna: ha messo i sassi al posto delle scale mobili.




Sali, sali e finalmente arrivi, tra pietre e cespugli, mare e montagna, antenne e ruggine, profumo di salsedine, resina e gasolio.


C'è una barista simpatica che ci accoglie, una birra fresca, quattro gocce e un nuvolone.
Sale la nebbia e scompare l'isola.
Resta una lingua di blu.
Quel filo blu del sarto a cui d'ogni tanto tocca bussare, per rammendare i propri pensieri.

Quota millediciannove.


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