L'acqua, i Dervisci, la potenza dei luoghi


C'è un luogo, in Erzegovina, che reputo decisamente magico.
E' uno di quei posti dove percepibili vibrazioni permeano l'aria, impregnando ogni cosa, dove qualcosa di misterioso ti prende, ti toglie l'affanno, in cui è facile sentirsi leggeri.
E' un luogo che alcuni uomini hanno scelto, non a caso, per sentirsi più vicini a Dio.
Ed è un luogo che, non a caso, ricorda tanti altri loghi scelti da altrettanti uomini, di fedi differenti e aree geografiche molto lontane, per stare più vicini a Dio, non importa quale.

 
La Casa dei Dervisci, alla sorgente del Fiume Buna, è un monastero collegato al Sufismo, e quindi all'Islam. I Dervisci sono monaci Sufi mendicanti, che si spogliano di ogni avere per intraprendere il loro cammino di ascesi, proprio come accade a particolari ordini monastici di altre religioni, Cristiana Cattolica compresa.
La povertà è un elemento centrale del percorso dei Dervisci, ma quello che mi incurioscisce di più, di loro come degli altri monaci eremiti, è la scelta dei luoghi e di come, questi, possano generare percorsi umani straordinari.



Questo monastero è posto sulla testata di una valle laterale della Neretva, vicino al borgo di Blagaj, parola che non a caso pare significhi "mite".
E' una valle effettivamente mite, il cui fiume nasce dal nulla e all'improvviso, già grande e maturo, dall'interno di una grotta nera, nel ventre della montagna. L'anfratto da cui l'acqua sgorga come per miracolo, in questa che è più grande sorgente d'Europa, è schiacciato da una solida parete di roccia, che al di sopra di esso sale striata, a strapiombo, per decine e decine di metri, dove gli arbusti crescono aggrappati come ragni, a testa in giù. Il monastero è li, i piedi a mollo nell'acqua appena nata, ma già così potente, e i fianchi appoggiati alla montagna. Le finestre principali, così come il terrazzo di legno antico, si rivolgono direttamente al fiume. Il tetto, che ricorda un'onda, punta col suo culmine a una grande spaccatura nella roccia, che pare un sentiero descritto in una fiaba d'avventura, diretto a mondi sconosciuti nel cuore della montagna.
La luce all'interno delle piccole stanze ha qualcosa di straordinario: il sole sbatte sulla pietra gialla, si immerge poi nel verde-blu dell'acqua e così i riflessi, che entrano dalle finestre schermate da sottili tende di lino, giungono carichi di tutte queste tonalità mischiate assieme.

Risale al XVI Secolo il "Blagaj Tekija", e unisce, come inevitabile sorte in questa terra di confine, elementi architettonici ottomani ad altri mediterranei.



"Qui si sente qualcosa, c'è una strana energia" sembrano dire i visitatori con la voce e con gli occhi. Tutti si guardano intorno e camminano piano, in punta di piedi, quasi per non disturbare i Dervisci, anche se è dai primi anni del socialismo jugoslavo che essi sono purtroppo stati fatti sloggiare malamente da qui. Persino un gruppo di turisti giapponesi osserva, sorride, non parla e aspetta addirittura qualche lungo minuto prima di accanirsi sui tasti di scatto delle macchine fotografiche.

Tre grandi elementi, acqua, terra e aria, giocano a rincorrersi tra queste stanze. Si sfiorano e si nascondono, si schivano e poi si riallineano, in perfetta armonia.
Equilibrio, pace, rapimento. Il fiume continua a scorrere ed è sempre diverso ma uguale al tempo stesso, come raccontava il Poeta. Ma per uno strano gioco di luci e immaginazione da quella grotta l'acqua sembra non solo uscire, ma anche rientrare, come entrano ed escono in continuazinegli gli uccelli, emettendo sibili acuti. E così, in quella voragine, si immergono e riaffiorano pensieri a non finire, come in un cerchio, in un turbine, nel mulinello costante, sensuale ed eterno della struggente roteante danza Sufi. Ed ecco il quarto elemento, il fuoco, quello interiore.



In luoghi come questo ci si chiede il perchè dei mali del mondo.
In luoghi come questo viene davvero da chiedersi cosa ci sia di differente nelle varie religioni, che in fondo ricercano tutte una via verso il divino che passa all'interno delle persone, dei luoghi.
In luoghi come questo viene da chiedersi come, le religioni, possano trasformarsi in bandiere di battaglia...

... proprio qui, a Blagaj, nel mezzo di questi elementi e di questa rara atmosfera, nel 1463 venne emesso un editto che, letto oggi, ha dell'incredibile.
Il Sultano Mehmet II El Fatih lo dettò a seguito della conquista ottomana della Bosnia, per permettere di garantire anche ai Cristiani Francescani, abitanti di questa terra, la possibilità di mantenere il proprio credo religioso e le proprie tradizioni.

"Io, Sultano Mehmet-Kahn, informo il mondo intero che coloro i quali possiedono questo editto imperiale, i francescani bosniaci, sono nei miei favori, per cui dispongo:
- fate che nessuno infastidisca o disturbi né loro, né le loro chiese;
- permettete loro di vivere in pace nel mio Impero;
- lasciate stare al sicuro coloro che presso di loro sono rifugiati;
- permettete loro di tornare e di sistemare i loro monasteri senza timore in ogni Paese del mio Impero.
[...] Se loro ospitano qualcuno proveniente da fuori e lo introducono nel mio Paese, ne hanno la mia autorizzazione"


Mi piace immaginare il Sultano mentre detta questa parole rapito dal paesaggio circostante, da questa stessa acqua, da queste stesse rocce.
Mi piace pensare che sia stata la struggente potenza di questo luogo a suggerirgli, di slancio, quelle parole. 

Ancora una volta sento queste terre non tanto come il confine, ma come il cuore d'Europa.
Le loro bellezze sono le nostre, le loro lacrime sono le nostre, perchè la storia è come l'acqua blu e verde della Buna, che sembra scorrere via, ma poi ritorna, emessa e inghiottita dalla stessa eterna montagna. 
  

Consiglio la lettura di questo articolo di Michele Nardelli su Osservatorio Balcani e Caucaso, da cui ho tratto le informazioni sull'Editto di Blagaj.

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