Mi accade sempre, in ogni viaggio che possa definire "ben riuscito".
E accade all'improviso, così, come un forte folata di vento inaspettata oltre una curva.
Succede quella cosa che forse si può definire unicamente con il termine "rapimento".
Ovvero un breve lasso di tempo, spesso di due, tre, o cinque minuti, in cui effettivamente qualcosa di misterioso mi prende, rapendomi, elevandomi, portandomi via.
All'Isola d'Elba è accaduto mentre il computerino di bordo segnava il chilometro 85 di un viaggio di due giorni, da solo, in bicicletta, seguendo le coste di quest'isola meravigliosa.
E' accaduto di mattina presto, lungo una strada di ghiaia e sabbia popolata a quell'ora da soli corridori mattinieri. Attorno al Monte Calamita, dopo Capoliveri, lungo la sterrata che porta alle antiche miniere di ferro.
E pensare che questa strada, sulla mia mappa ben custodita sotto cellophane anti-pioggia, non era nemmeno lontanamente segnata dal pennarello rosso con cui ho indicato il percorso.
L'ho notata la sera prima, su una carta appesa a un muro. La osservavo, mi guardava, la studiavo, mi strizzava l'occhiolino, ci siamo in qualche modo chiamati a vicenda.
Così il giorno dopo cambio di programma, curva a destra, salita, e che serà, serà.
E il "rapimento" è avvenuto proprio in questo luogo inaspettato, pochi chilometri dopo la fine dell'asfalto, delle macchine, dei bus, delle moto, dei ciclisti-robot da record.
Mare, canti di uccelli, ombre di nuvole cariche di pioggia bucate da squarci di sereno. Vibrazione leggera del manubrio, polvere, sabbia fine, lentezza, vento fresco, odore di pesce e di pini. Gambe indolenzite dal giorno precedente e dal sonno che finalmente si rianimano. Echi di vecchi minatori nel ventre del monte, di pescatori nella baia, donne che cantano nei paesi ai lavatoi, barche al largo, reti, orizzonte a cui manca una fine.
E le gambe hanno cambiato andatura, iniziando a ondeggiare piano al rimo dei pensieri, il cuore a battere più lento.
Dalla gola mi è uscita persino una strofa di una canzone che non ascoltavo da anni, cantata stonando ripetutamente tra il silenzio improvviso e incredulo degli uccelli.
"Balla sulla Carretera Austral
Viaggia sulla Carretera Austral
Balla sulla Carretera Austral
Balla..!"
E finalmente ho capito, all'improvviso su una leggera salitella, perchè l'amico cicloviaggiatore Daniele Tosca dribbla sempre e sapientemente, anche se forse talvolta inconsciamente, la parola "cicloturismo", finendo ogni volta, a costo di ripetersi, nel ribadire quella di "cicloviaggio".
Ho capito.
E' la V a fare la differenza.
La V di viaggio, ovviamente, che è la stessa V iniziale delle parole "ventura", "variante", "vitalità", "vortice", "voglia", "vastità", "valore", "vento".
Turismo è un'altra cosa. La T di "tempo", "tabella di marcia", "tour organizzato", "tecnica", "tangenziale" in queste occasioni stona davvero troppo.
Tornato con i piedi per terra mi fermo ad un bivio, per cercare di comprendere la direzione per il proseguo del percorso, per la chiusura dell'anello.
Alle mie spalle, apparsa da chissà dove, fa capolino una signora sulla sessantina, anche lei sola, zaino in spalla e scarponi, che mi chiede con spiccato accento veneto: "Hei! anche lei cerca la strada"?
Certo signora, mi viene da pensare, ogni volta che viaggio cerco la strada e ogni volta, almeno così mi par di capire, ne trovo un pezzetto.
Carretera Austral - Modena City Ramblers:
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