Alpe della Luna, 2017 |
Se mi volto indietro, analizzando gli ultimi post realizzati su questo diario fatto di parole e di immagini, rivedo e rileggo di tanti luoghi e ciò mi provoca una grande gioia. Il borgo abbandonato di Val di Canale, la Creta di Timau, Lecce, Lucca, le fontane di Mione, il Monte Schlossberg che domina Graz, le vie dei vecchi bordelli di Arezzo, Rimini, il Danubio, la Sicilia, Mauthausen. Solo fermandomi alle prime due schermate della home page un turbinio di emozioni e di ricordi mi assale.
Mi rendo conto di come la mia ricerca personale, fuoriuscita da tempo sottoforma di scrittura e fotografia, abbia sempre più a che fare con l’esplorazione, il cammino, il viaggio.
Sempre più spesso narro infatti di luoghi, che cerco di non raccontare in quanto tali, ma per quello che mi hanno trasmesso, nel momento in cui sono entrato in contatto con loro.
Arezzo, 2015 |
Ogni luogo non è infatti uno statico cumulo di oggetti in un determinato spazio, non è solo punto su una mappa, coppia di coordinate, toponimo, statistica. Tutti lo sappiamo, è pesino banale dirlo, perché tutti abbiamo certi luoghi nel cuore.
Ogni luogo è una lenta sovrapposizione di strati, come avviene nelle rocce sedimentarie: vi si deposita e poi vi si cementa la storia, gli uomini con i loro turbamenti, i loro segni e la natura, fatta di bellezza e di asperità. Vi nasce energia, che talvolta scocca come scintilla. Sì, succede proprio come tra gli esseri umani: un incontro, uno sguardo, un contatto, ed è fatta: il legame è instaurato.
“Dobbiamo muoverci perché le cose diventino interessanti e degne di essere raccontate” scrive Simona Guerra nell’introduzione alle “Giornate di fotografia 2017”, quest’anno a tema: “Fotografia come geografia”, esortandoci a metterci in cammino e a non avere paura dell’ovvio, perché spesso è proprio l’ovvio ad aprirci le porte dell’inesplorato, dello straordinario.
Mi ci rivedo, perché questa esortazione assomiglia molto alla strada che ho cercato di intraprendere negli ultimi anni: riscoprire i luoghi, ritrovare il piacere e il tempo di viverli, di studiarli, di descriverli e fotografarli non guidato da esigenze altrui (concorsi, gallerie, esercizi di stile) ma da una ricerca magari ovvia, ma personale.
Senigallia, 2016 |
“Le nostre fotografie, come le mappe che tracciamo, siamo noi” prosegue Simona. “Sono il luogo come lo inquadriamo; sono la traduzione in immagine del nostro modo di vedere il mondo”.
Ma allora, mi chiedo, quella scintilla, quel legame, tra chi avviene? Soltanto tra me e i luoghi che esploro oppure anche tra me e un’altra parte di me stesso ritrovata, in quei luoghi già misteriosamente presente?
Forse ognuno di noi è un immenso puzzle i cui pezzi sono stati dispersi nel Mondo. E viaggiare serve proprio a questo: a tentare di ricomporre l’immagine finale, irraggiungibile, di chi siamo veramente.
La fotografia e la scrittura, se utilizzate consapevolmente, sono parte del viaggio: si fanno sentiero, sacco a pelo, zaino, gavetta, suole di scarpe. Si fanno taccuino, su cui disegnare la carta geografica di chi siamo davvero.
Pratomagno, 2016 |
0 commenti:
Posta un commento