Verde e blu, diario di Corsica


Dal 18 al 22 Luglio 2018 abbiamo percorso in bicicletta alcuni tratti della costa nord della Corsica. Ecco il diario di quei giorni, pochi ma ricchi di... verde e blu, mare e montagna, pesce e formaggi magistralmente abbinati, strade secondarie sconsigliate a chi soffre di vertigini, dislivelli e pendenze da Dolomiti, picchiate a tutta, in discesa, verso un mare caraibico, pascoli sperduti dal sapore balcanico, paesini da montagna appenninica, birre che profumano delle erbe selvatiche del Mediterraneo, marinai-pastori un po' rudi ma simpatici e anche, ebbene sì, qualche tuffo a fine tappa, per noi un evento...

L'arrivo

Dobbiamo constatarlo dopo poche ore: la Corsica ci ha accolto decisamente male.
Primo. I nostri piani vanno in fumo a causa delle ferrovie locali che non trasportano bicilette (come è possibile in un posto così vocato al cicloturismo?).
Secondo. L'albergo scelto per il primo pernottamento si rivela una stamberga anni '60 un po' lugubre, capeggiata da una vecchia insegna luminosa "HOTEL" dove solo la "E" si accende ancora.
Terzo. Paghiamo mezzo litro d'acqua 5 euro.
Quarto. Alle due del pomeriggio vorremmo mangiare qualcosa, ma dappertutto ci dicono senza alternative e con un tono scostante che la cucina è già chiusa.

Nella periferia nord di Bastia l'aspetto dei luoghi è decisamente trasandato: intonaci sfatti, palazzine decadenti, garage pieni di fogliame mai spazzato dallo scorso autunno.
Un solo indizio ci alza il morale.
Nel garage dell'Hotel, dove parcheggiamo, anch'esso mal curato e sporco, notiamo proprio sopra alla nostra macchina un frenetico via vai: diversi nidi di rondine tra i pilastri di calcestruzzo, con decine di rondinotti urlanti che attendono il cibo dai genitori. Nell'abbandono e nella trasandatezza ecco la rivincita della vita.
Così decidiamo, piano piano, di riconciliarci con questa terra, di provare almeno a capirla.
Facciamo una capatina al mare. Mentre mi lascio galleggiare "a morto" osservo gli alti crinali di questa grande montagna divenuta isola. Galleggiando nel Mediterraneo inizio a sentire una vicinanza emotiva, quasi spirituale, con lo spirito di questi monti aspri appoggiati nel blu.
Qualcosa cambia presto in me, sento che il viaggio inizia, sono più rilassato, meno nervoso.
Completano l'opera un rosè secco e acidulo prodotto nell'isola e una cena, quasi come essere in famiglia, da "U Paisanu", dove un allegro signore in bermuda ci accoglie nella sua piccola stanza: cinque tavoli con tovaglie a scacchi bianchi e rossi e un menù minimale che, tuttavia, raccoglie il meglio del territorio.
Eccoci, finalmente, pronti per partire.


Tappa 1 - da Bastia a Centuri porto
67 km, circa 1.000 m di dislivello

Partiamo con il terrore del traffico, ma presto capiamo che il via vai di auto e camion, così intenso di fronte alla nostra camera d'albergo, non ci seguirà per tutto il "dito" di Cape Corse.
Dopo solo una decina di chilometri siamo soli, a picco sul mare. Strada incantevole, saliscendi continuo ma leggero, mille sfumature di azzurro nell'acqua, verde saturo della macchia che ha ricacciato vigorosa dopo un incendio, nero di rami fini, carbonizzati dal fuoco dell'estate precedente.
Fino a Macinaggio è terra di navigatori, con torri genovesi a marcare il territorio, poi curva improvvisa a sinistra, salita subito ripida, macchia mediterranea alternata a pascoli sparsi: inizia il territorio dei pastori, dei montanari.
Boschi fitti, rocce bianco-arancio, panorama stupendo verso la punta del dito, con il faro di Ile de la Giraglia rilucente nel sole, che ci chiama, magnetico, verso di lui.


Montagna rude ma accogliente, d'Appennino abruzzese, mischiata a scorci già visti nella Bosnia interna, con coste d'Irlanda all'orizzonte.
Strada a mezzacosta da goduria ciclistica, da assaporare ora più che mai, dato che il caldo inizia a farsi sentire.
Arrivati a Botticella decidiamo di scendere fino alla punta più estrema di Cape Corse. Sappiamo che sarà un tuffo in discesa e che poi, nell'ora più calda, ci toccherà risalire. Ma non possiamo non andare.
Strada strettissima, un paesino completamente immerso nel bosco, chiese abbandonate avvolte dal verde.
Alla fine della lunga picchiata lasciamo Barcaggio, spiaggia da sogno popolata da alcuni camper e moto di turisti (la pensavamo decisamente più affollata), per proseguire lungo la costa verso Tollare, piccolo paesino di pescatori senza bar, cartonine, né souvenir.


Chiediamo dove è possibile trovare acqua potabile e veniamo indirizzati verso una chiesetta appollaiata su uno scoglio, dietro la quale una piccola fontanella cede poche gocce d'acqua al minuto. Impossibile riempire le borracce. Mangiamo un po' di frutta secca tra signore di una certa età che si concedono un bagno, un cane che si rotola nelle alghe secche portate a riva dal mare e due fratellini che sgambettano tra le barche.


Si riparte. Salita dura, calda, senza acqua. Un bel patimento ma poi, sul Col de la Serra, l'incanto.
Si apre a noi l'intera costa ovest. Di fronte, in posizione più che panoramica, il famoso Mulin Mattei, di fianco altri mulini a vento abbandonati. Saliamo con le bici a mano fino in cima e ci lasciamo abbracciare da un panorama a trecentosessanta gradi su cos'è la Corsica: mare e montagna, acqua, boschi e roccia, pesci e rapaci.
Da quassù è davvero impossibile non fantasticare (vedi questo altro post).


Discesa a picco verso Centuri porto. Incrociamo un anziano che sembra uscito da un fumetto di pescatori: magietta a righe bianche e blu, basco color panna, barbone lungo e bianco, faccia scura cotta da sole e dal sale. Gli chiedo se la strada è quella giusta, solo così, per capire se è vero o finto. Ci sorride dicendo, in italiano, che siamo praticamente arrivati.
Scendiamo di sella in questo stupendo porticciolo di pescatori ora stracolmo di alberghi, bar e ristoranti, ma ancora bagnato di un'atmosfera autentica, specie nelle piccole vie che risalgono la collina o nel campo da bocce dove si gioca tesi, esclamando improperi in dialetto corso.
Bagno magnifico in un mare da sogno, con una vita acquatica animale e vegetale ricchissima e ben visibile.


Una buona birra corsa al tramonto, tra le barche, e poi una cena ristoratrice nella trattoria di una simpatica signora che ci propone l'essenza del paesaggio in cui abbiamo pedalato: cozze con "brocciu" gratinato, una specie di ricotta di queste sperdute valli ritte sopra le nostre teste.
A cena conosciamo una bella coppia di cicloturisti tedeschi sulla cinquantina, già incrociati nella stazione di Bastia. Facciamo amicizia e, tra una cozza e un sorso di ottimo rosè (ormai bevanda ufficiale) parliamo di bici e di viaggi.
Ci chiediamo salutandoli: "rimarremo anche noi così, come loro?".
Non lo so ma lo spero vivamente, più macino chilometri in bicicletta più comprendo che questo sia uno dei modi più straordinari di viaggiare, percorrendo tanta strada e vivendola a fondo.
Buonanotte con un mirto bianco ghiacciato, gentilmente offerto dalla signora dopo che Monica ha riconosciuto senza dubbi il suo accento: è sua corregionale, di Trieste.

Tappa 2 - da Centuri porto a Bastia
77 km, circa 1.250 m di dislivello

Ancora verde e blu, mare e macchia e una sottile striscia grigia d'asfalto che taglia i colori dominanti.
Una strada straordianria quella della costa ovest, ancora più a picco sul mare, ancora più abbarbicata su scogliere verticali e vertiginose.
Mattina presto, vento fresco, nubi che velano il sole già caldo. Siamo soli sulla strada, ci prendiamo le due corsie tutte per noi, che godimento!


Paesini microscopici, qui molto più curati. Anziani che salutano amorevolmente quei pochi turisti che, non essendo muniti di motore, non turbano il loro beato silenzio all'ombra di un grande platano. Da una finestra aperta si ode la voce di un cantante lirico che fa vibrare le corde vocali.
Citroen Due Cavalli esposte come cimeli del tempo che fu, vecchi mulini, cappelle cimiteriali di singole famiglie sparpagliate per la collina che scivola nel mare, in luoghi talmente incantevoli da fare invidia al più blasonato hotel di lusso della costa. Quale miglior luogo per il riposo eterno di un marinaio-pastore-pescatore-montanaro di queste valli? Chi visita quelle cappelle, penso, non può non sentire il profondo richiamo degli avi e della terra galleggiante che li ha messi al mondo.


Sulla destra, nell'immensità del mare, solo cinque, massimo dieci barchette solitarie. Il fascino della pesca antica. Mi tornano in mente i passaggi de "Il vecchio e il mare" di Hemingway.
Anche qui saliscendi continuo, un po' più duro del giorno precedente ma mai troppo stancante. Piccoli strappi da fiatone e poi belle planate, in discesa, verso il mare, seguiti dalle rondini impazzite e dai falchetti guardinghi che sorvolano le nostre teste in movimento.
Un fabbricone enorme e abbandonato ci ricorda che "la civiltà" esite, era stato così facile dimenticare in poche ore lo skyline cupo della città...


Spiaggia di Nonza, grigio elegante, linea lunghissima e dritta come una schioppettata. Deserta, nonostante l'alta stagione, magnifica se vista dall'alto, dal piccolo borgo che la sovrasta, con le sue sfumature, i sentieri che vi scendono e nonostante le innumerevoli scritte di sassi che in tanti hanno creato per sancire il proprio passaggio, probabilmente prima dell'era dei selfie.


Nel paese conosciamo due coppie di motociclisti, liguri e veneti. Ci scambiamo consigli di viaggio, sono affascinati dalle nostre due ruote senza motore ma mai, ci confessano imbarazzati dopo tanti elogi, si metterebbero a pedalare in vacanza!

Pausa "more di rovo" in un cespuglio bordo strada. Mentre affamati ci avventiamo sui frutti selvatici passa un furgoncino Wolskwagen anni '60 con una ragazza pseudo-hippie che ci nota, ci indica e ci saluta divertita coi capelli che volano nel vento.


Arrivederci quadro verde-blu! Si taglia a sinistra, tra i vigneti di Patrimonio, per attaccare il temibile e brullo Col du Teghime, con pendenze da tappone dolomitico. Dopo un pranzo leggerissimo attacchiamo a spingere, sudare e salire tra auto, moto e camion. Una macchina sportiva con ragazzini deficienti per poco non mi facadere: mi sfiorano apposta urlando dal finestrino.
Dalla cima del colle, però, il panorama è ancora una volta magnifico: i due mari e le due coste di Cape Corse, pascoli e boschi a pedita d'occhio, i geometrici vigneti di Patrimonio da un lato, l'Étang de Biguglia dall'altro. In cima un monumento ricorda una battaglia della seconda guerra mondiale, dove i caduti, quasi tutti, hanno nomi nordafricani.

Tornati a Bastia, trasbordo in auto verso San Fiorenzo. Durante il tragitto una visione quasi divina dopo i chilomentri percorsi, il caldo, la sete accumulata: il microbirrificio "Ribella" con mescita dei suoi migliori prodotti all'ombra di un pergolato. Sosta d'obbligo, birre buonissime, tutte aromatizzate da erbe profumate dell'Isola, come una spettacolare IPA alla menta selvatica. Nomi delle birre ed etichette strizzano l'occhio all'autonomia corsa: "RibellAzione! Corsica sempre ribella".
Queste parole mi fanno ricordare i tanti cartelli incontrati lungo la via con cancellati i nomi delle località in lingua francese, diverse scritte autonomiste e una frase spruzzata a bomboletta su un muro che mi ha colpito particolarmente: "turismo = miseria". Difficile da comprendere in una terra che praticamente vive di turismo, ma altrettanto difficile da rifiutare, se ciò significa soltanto spremere un territorio lasciando scomparire le altre attività economiche locali e l'anima dei luoghi. La domanda che mi ronza in capo è sempre la solita in queste circostanze: può davvero esistere un turismo realmente sostenibile? Chi lo dovrebbe promuovere maggiormente? e come?

A San Fiorenzo cena divina da "Le Petit Caporal", con cozze affogate nel roquefort, tagliata di tonno, verdure, calamari alla piastra e, ovviamente, rosè dei vigneti di Patrimonio.

Tappa 3 - anello da Calvi a Galeria
70 km, 800 m di dislivello

Dopo la notte a San Fiorenzo trasbordo in macchina verso Calvi. Il piano originale era di arrivare a Calvi in bici e poi tornare in treno a Bastia il giorno successivo, facendo tre giorni interi in bicicletta, ma l'impossibilità di trasportare i nostri "cavalli" ci ha costretto a questo cambio di programma.
Durante il tragitto passiamo di fianco alla zona chiamata "Désert des Agriates", davvero affascinante. Arbusti bassissimi, rocce affioranti ovunque, nessuna costruzione per chilometri e chilometri.
Arrivati liberiamo le biciclette, ora leggere, senza borse. Iniziamo a pedalare duri sul difficile Col de Marsolinu, che ci graffia con pendenze a due cifre. C'è un caldo bestiale, ma dal colle la visione è straordinaria: il mare è distante quanto le vette rocciose dell'interno, sotto di noi una campagna ondulata, fatta di pascoli, campi semi abbandonati e picole costruzioni rurali, con la strada che prima zigzaga e poi taglia dritta, come in una scena di Easy Rider.


Breve sosta a Galeria e poi ritorno verso Calvi dalla via litoranea. Pendenze leggere, ma salite lunghe e regolari. Il paesaggio torna verde e blu, ma è ancora diverso da quelli vissuti nei giorni precedenti, ancora più affascinante. Qui la montagna non si tuffa nel mare, vi scende con dolcezza, mostrandosi in tutta la sua complessità di cime rocciose, gole, macchia, insenature e infine in calette straordinarie e deserte, dove l'acqua è ora verde smeraldo, ora di un azzuro impercettibile, quasi bianca.


Il fondo stradale è terribile per lunghi tratti, sembra di correre alla Parigi-Roubaix, e porta in poche pedalate da ampie spiagge deserte a colline interne un po' trasandate, punteggiate talvolta da rifiuti e casolari in abbandono. Ma basta una rampa, una piccola svolta, per tornare ancora a picco sul mare.
Aspetto Monica in un punto che sento come decisamente magico. Una sottile lingua d'asfalto, coperta ai lati da sabbia e punteggiata da vecchi pali telefonici in legno corre dritta fino a una curva secca, sembra che si tuffi direttamente nell'acqua; alla mia destra una collina silenziosa di alberi sparsi; a sinistra una montagna verde di macchia che degrada in una piccola cala isolata e deliziosa, con solo una barca a goderne la meraviglia; tutt'attorno un silenzio totale.


No, è che non siamo più abituati al silenzio, me ne rendo presto conto. Respiro profondamente e poi trattengo il fiato per cercare di percepire anche il più debole dei suoni. Ecco le onde, cento metri più in basso. Ecco il fruscio del vento che striscia tra gli arbusti. Ecco le debolissime voci dell'equipaggio della barca. E poi un altro fruscio, diverso, che si ode a intervalli regolari. Alzo la testa e scorgo l'ennesimo falchetto, a pochi metri dal mio casco, che prima scruta il territorio, poi si lancia in spettacolari picchiate nella macchia in cerca di prede. Infine, disegnando cerchi concentrici tra cielo e mare, risale prendendo la scala mobile della corrente acensionale.

Quando Monica mi raggiunge pedaliamo assieme su un falsopiano fantastico, un continuo di insenature e spiaggette deserte da sogno. Attraversiamo poi un singolare sperone di rocce tondeggianti e levigate che sembrano quelle dei cartoni animati. Tutto cambia, curva dopo curva, colori, forme, materia, anche se tutto sembra simile. In bici, e ancor di più camminando, si impara a sintonizzare al meglio la sensibilità dei nostri occhi. 
Calvi è vicina. La bellezza del faro di La Revellata, solitario sul promontorio che protegge la cittadina, stride con 30, forse 40 yacht vocianti, tutti compressi e in fila per godersi una strisciata di bianchi detriti sul fondale marino, che trasformano una piccola baia in un'oasi caraibica dal mare incredibilmente trasparente.


Calvi, deliziosa, con il suo porto e la cittadella, ci accoglie dopo una doccia rigeneratrice nella luce rosea del tramonto, dagli stessi riflessi dello spettacolare bicchiere che ci concediamo prima dell'ultima cena sull'isola. Un rosè della zona, sapido e profumato di frutta matura, che ci conquista e finisce, in bottiglia, nel nostro bagaglio del ritorno.
Ennesima ottima cena di pesce durante la quale ricordiamo delle tante, diversissime cene gustate in giro per l'Europa, questa terra meravigliosa di mari, fiumi, montagne, pianure e genti che mai smette di stupirci.

Ritorno

Prima del traghetto che ci riporterà "in continente" esploriamo in macchina i paesini di montagna nell'entroterra di Calvi, arrivando fino a Sant'Antonino, considerato uno dei borghi più belli di Francia, arroccato su una ripida collina, equidistante tra il mare e le vette.
E' qui, con le gambe un po' stanche, la nostalgia già alle porte e un favoloso succo fresco di cedro nelle mani, che capisco il senso di questo viaggio.
Siamo venuti qui per gioco, per curiosità, noi amanti della montagna e allergici alle spiagge, per capire cosa poteva nascondere un grande massiccio montuoso appoggiato sul mare.
E lei, la Corsica, ci ha risposto ribaltando la nostra visione.
Le montagne poggiano sempre sulla terra, affondano le radici nelle sue viscere. 
E' il mare, questo piccolo grande mare, il nostro Mediterraneo, che abbraccia le nostre belle montagne, dall'Etna al Monte Bianco.
Un Mediterraneo ricco di storia e mistero, di simboli e magia, di musica, cultura, di arte e ingegno, di voglia di vivere, di morte.
Un Mediterraneo che ci ha chiamato, in Grecia, in Albania, in Sicilia come qui in Corsica, sussurrandoci sempre un'appartenenza comune che va oltre bandiere e nazioni.

 
La mappa con le tre tappe
In arancione il percorso in bicicletta, in blu il trasbordo in macchina.



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