Ho scoperto l'esistenza della Val Rosandra grazie alla rivista del Club Alpino Italiano.
In un articolo si parlava dei "Bruti", un gruppo di giovani e fortissimi arrampicatori che negli anni '40 del secolo scorso, nel pieno della seconda guerra mondiale, "invase" le pareti calcaree di questa gola rocciosa a pochi chilometri da Trieste, posta come il collo di un imbuto che sembra travasare lo spirito della montagna nella città di mare.
Nell'Italia di quei tempi la Val Rosandra rappresentava per loro la libertà a due passi dai palazzi cittadini. Il luogo d'elezione dove sentirsi esploratori, avventurieri, ribelli. La fuga dagli orrori della guerra.
Per quei ragazzi che si autodefinirono Bruti quelle rocce dietro casa furono scuola di arrampicata e di vita, teatro di una "dimensione verticale" ancora rara e tutta da scoprire.
Sulla stessa rivista ho letto un altro articolo, dedicato ad altre pareti vista mare, quelle di Finale Ligure, e ad un altro gruppo di ormai vecchi scalatori di cui non ricordo il nome.
Il testo parlava di alpinisti anziani che, osservando dal basso i giovani climbers impegnati in difficili passaggi a strapiombo, riflettevano su ciò che nel tempo era cambiato in quella disciplina.
Si stupivano del fatto che le vie di roccia aperte da loro stessi, decenni prima, erano utilizzate ormai come sentieri di discesa dei moderni "alieni dell'arrampicata" (mi pare li definissero così). Rammentavano allora delle prime domeniche di esplorazione su quelle pareti mai visitate prima da nessuno, giornate fatte di partenze epiche, risate, musica, bevute e un po' di sana follia tra corde e moschettoni.
Si chiedevano se le sensazioni di quei ragazzi moderni, con abiti ipertecnici, muscoli ben scolpiti, scarpette d'ultima generazione, tecnica impeccabile e centinaia di pareti già chiodate a poche ore di comoda autostrada, fossero le stesse provate da loro, "nonni di scalata".
"Ora che tutto è a portata di mano", si chiedevano i vecchi, (e quando ho letto l'articolo ancora non esistevano gli smartphone e i social network...) "è ancora possibile provare quelle forti emozioni? Sentire dentro di sè il mito, la magia, l'epica, un grande scopo da raggiungere?"
Immagino che anche qualche Bruto della Val Rosandra si sarà posto domande simili: quel moto interiore di entusiasmo, passione, forza, follia e ribellione è ancora riscontrabile nel mondo moderno? E, se sì, dove?
Quando ho letto questi articoli, ormai diversi anni fa, mi sono sorte domande profonde e difficili da affrontare, schiudibili a tante possibili risposte. Riflessioni che mi si sono appiccicate dentro, così come l'immagine di quei Bruti che furono, come dice il sottotitolo di un libro a loro dedicato: "epigoni del grande alpinismo tradizionale e precursori della scalata moderna".
Mi sono tornati in mente questi due articoli quando, a fine inverno scorso, ho avuto l'occasione di visitare la "Terra dei Bruti". Il lungo anello con cui abbiamo attraversato la Val Rosandra ci ha fatto ammirare un luogo davvero affascinante, dall'aspetto quasi lunare, che strizzando l'occhio al mare mostra tutta la dura natura del Carso. Un luogo oggi punteggiato di sentieri, piste ciclabili, trattorie e allegre osmize che ancora conserva nell'anima gli orrori della prima guerra mondiale, che qui fece massacro di migliaia di giovani.
Attraversando la Terra dei Bruti è riaffiorato il ricordo di quelle figure storiche e di quelle mie riflessioni giovanili.
Credo che sì, certi forti sentimenti esistano ancora e siano necessari per far muovere tanti ragazzi di oggi che continuano ad esplorare il mondo e i propri limiti.
Forse, rispetto ad allora, quello che manca è il senso di comunità, di gruppo, di appartenenza, che fece stringere quei giovani arrampicatori attorno ad una valle, ad un nome buffo, ad un progetto condiviso, nella ricerca comune di qualcosa di profondo e non del tutto spiegabile.
Incontrando per caso una targa dedicata ai Bruti, posta di fianco al cippo in onore del grande Emilio Comici, ho lanciato nel vento un grazie, dedicato non solo a loro, ma a tutti coloro che, in cerca di quella magnifica emozione, hanno aperto le porte di queste oasi di libertà.
Sta a chi le vive ora tenere accesa la fiammella del mito, ricordando quei "conquistatori dell'inutile", così Lionel Terray definiva gli alpinisti, che hanno speso il proprio impagabile entusiasmo giovanile per l'esplorazione delle montagne, di nuovi modi di andare in montagna.
Anche nella narrazione di queste figure leggendarie è possibile ricercare quell'antica sensazione forse in via d'estinzione, il senso autentico dell'andare per monti.
0 commenti:
Posta un commento