Il castagno è stato per secoli "l'albero del pane" per la gente di montagna. Dal suo frutto, la castagna, si ricavava la farina, essenziale per l'alimentazione, in particolare dei più poveri. Ma il castagno è stato spesso paragonato anche al maiale, l'animale sacro di cui "non si butta via niente". Frutti e legno erano essenziali per nutrirsi e per costruire, anche in questo caso nulla veniva buttato.
Un albero sacro insomma, proprio per questo portato volontariamente dall'uomo ovunque fosse possibile. Si narra che gli antichi Romani, durante gli spostamenti dell'esercito, portassero sempre un carro pieno di alberelli di castagno, da piantare in ogni villaggio conquistato.
Oltre ai castagneti da legno e da paleria, in vastissime aree della montagna italiana si trovavano castagneti da frutto. Grandi alberi innestati di particolari varietà erano piantati a distanze prestabilite e curati attraverso le potature, per dare forme particolari alle piante e per garantirne una miglior fruttificazione.
Negli ultimi decenni molti castagneti da frutto sono caduti nell'abbandono, così come i paesi di montagna e i campi, invasi dai rovi.
Tuttavia, attraverso fondi europei e regionali, alcuni proprietari hanno lavorato recentemente al recupero di vecchi castagneti plurisecolari, realizzando ripuliture e nuove potature.
E' il caso di questo castagneto sull'Alpe di Catenaia (AR), che si trova nel mezzo di un sentiero che percorro spesso per fare qualche passo.
La sensazione che dona quest'area è duplice.
Da un lato si respira una rara cura del territorio, si gusta il contrasto e l'armonia di un intervento umano "dolce" in un contesto naturale, l'immaginario riesce a comprendere meglio la relatà del paesaggio "storico", di com'era prima della fuga dai monti.
Dall'altro si percepisce la difficoltà, dopo l'intervento finanziato dai fondi pubblici, di portare avanti una coltivazione che oggi, a causa del contorto quanto assurdo meccanismo economico in cui viviamo, rende probabilmente meno delle spese per mantenerlo.
In mezzo a queste due sensazioni rimangono comunque, maestosi, i grandi castagni. Si fanno ammirare, abbracciare, viene voglia di sedercisi sotto, di poggiare la schiena contro la corteccia dei secoli. Sono rimasti e rimarrano, a testimoniare qualcosa, una possibilità, una storia, una convivenza possibile, un ammasso di radici intrecciate tra uomo e natura.
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