Déjà vu


Che cosa strana il déjà vu.
E' una sensazione che ti spiazza: "ho già vissuto questa situazione, questi luoghi, questo istante, ma non ne sono sicuro, non del tutto... ma sì, forse no, ricordo ma non comprendo".


Ti capita a un tratto, quando meno te l'aspetti, semplicemente succede.
Ti guardi intorno e sembra che la tua vita abbia fatto "Rewind".
Perso nello straniamento dell'accaduto non pigi il tasto "Pause", lasci scorrere il nastro, che però poi accellera all'improvviso, ti ritrovi nell'oggi ed è tutto finito.


Ecco, la fotografia può essere quel tasto centrale, "Pause".
Quando il déjà vu ti aggancia appena, ma senza la forza di portarti via, prima che tutto svanisca, il tasto congela l'istante.
A volte non lo so neppure perchè lo premo quel tasto. Poi capisco che spesso è per indagare chi ero, e quindi chi sono, un fermo immagine per fare la moviola al mio cammino.


Spesso mi capita di fotografare richiami del passato, anche recente, anche non "storico".
Qualcosa che nel caos del giorno che corre mi riporta a un silenzio intimo, primordiale.
Spesso mi capita di fotografare déjà vu.


L'ho fatto anche in Abruzzo, anzi, a colori ho fatto solo questo.
Mentre ragionavo e scattavo in bianco e nero con una macchina sulle architetture e sulle atmosfere da esse veicolate (saranno protagoniste di un prossimo post), con l'altra macchina, a colori, quasi senza volerlo, registravo richiami.


Ci sono tre modi, in Italia, per tornare indietro nel tempo. Non tanto, ma quanto basta per cambiare visuale: andare verso Sud, andare verso l'alto, andare verso il piccolo.
La montagna abruzzese unisce tutte queste cose ed ecco che, in pochi passi, mi sono ritrovato indietro.
E' arrivato spesso il déjà vu: i colori, le forme, i nomi, i simboli di qualcosa di già vissuto. Prima che se ne andassero via, ho premuto "Pause".


Ho fotografato principalmente porte (l'ho scoperto dopo): di case, chiese, bar, negozi, locali... le porte in cui sono passato, anche se in altri luoghi e in un tempo passato, per entrare in stanze dove qualcuno mi ha infuso calore, graffi, gentilezza, passione, atmosfera.


Le porte in cui sono entrato bambino e uscito uomo. Le porte che rimangono a dispetto del tempo, che rappresentano in qualche modo chi le vive, chi le attravesa in continuazione: i miei compagni di viaggio.


Il déjà vu si annidava nel varco di queste porte della montagna abruzzese, il ricordo ne sorreggeva gli stipiti, l'identità si palesava negli oggetti, nei colori, nei decori.
Non le avevo mai viste ma le riconoscevo, le sentivo parte di me.



Ho sentito qualcosa in queste porte che sussurrava parole come "Italia", "paese", "vino", "nonna", "casa", "briscola", "pane"...
Qualcosa che, più in basso di quota, più a Nord o dove le case diventano palazzi, sta per essere cancellato.
Un déjà vu d'identità, un richiamo a chi sono, a chi siamo.


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